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Il Vescovo Manenti: “Sottrarre gli auguri di Buona Pasqua all’usura della consuetudine”

Il Vescovo Manenti: “Sottrarre gli auguri di Buona Pasqua all’usura della consuetudine”

di FRANCO MANENTI*

SENIGALLIA – Un efficace antidoto all’usura dell’abitudine è l’interrogarsi sul significato che per noi hanno le parole che diciamo e i gesti che compiamo. Particolarmente esposte all’usura dell’abitudine sono le parole di auguri che ci scambiamo soprattutto in occasione delle feste, come il Natale e la Pasqua, che ricordano avvenimenti decisivi per i credenti cristiani e che fanno parte del calendario civile.

Anche a Pasqua, come è accaduto a Natale, ci scambieremo gli auguri di una “buona Pasqua”. Desiderando sottrarre gli auguri pasquali all’usura dell’abitudine, della consuetudine, suggerisco di chiederci che significato attribuiamo a questo gesto, a che cosa rimandano le parole dei nostri auguri?

I credenti cristiani potrebbero trovare una preziosa risposta negli “auguri pasquali” che si scambiavano i primi cristiani. Questi, al termine della Veglia pasquale, celebrata nella notte tra sabato e domenica, si dicevano: «Cristo è risorto!» e si rispondevano: «E’ veramente risorto!».

Il punto esclamativo indicato nello scritto segnala che quanto si comunicavano non era per loro una semplice notizia di cronaca, né uno slogan da ripetere in ogni caso, ma l’attestazione che quanto era successo a Gesù («Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere», At 2,24) era decisivo per loro, per la loro vita, non solo perché la sottraeva alla presa mortale del male, ma anche perché la “rigenerava per una speranza viva”, come scriveva l’apostolo Pietro (1Pt 1,3). La risurrezione di Gesù costituiva per loro il solido fondamento di “una speranza che non delude” (cfr Rm 5,5), perché attesta che Dio, il Padre di Gesù, non si è assentato dalla terra, dall’esistenza degli uomini, non li abbandona nelle prove della vita e si adopera perché non conducano la loro esistenza come persone che non hanno speranza.

Che quelle parole scambiate tra primi cristiani nella notte di Pasqua e nei giorni a venire non fossero parole di circostanza o uno slogan, lo documentano “la dolcezza e il rispetto” con cui “rispondevano a chiunque domandava ragione (spesso con arroganza e disprezzo) della speranza che era in loro” (cfr 1Pt 3,15-16) e la serena determinazione con la quale molti di loro affrontavano la persecuzione che si concludeva con una morte violenta.

La storia ci dice che la consapevolezza che “Cristo è veramente risorto!” non ha accompagnato solo i primi cristiani, ma continua ad accompagnare i discepoli di Gesù nelle vicende liete e sofferte della loro esistenza e della storia in cui vivono, continua sostenerli nel rendere ragione della speranza che è in loro a un mondo che non riconosce più in Gesù Cristo risorto il fondamento della propria speranza, continua a dare coraggio a uomini e donne, e non sono pochi, che anche ai nostri giorni subiscono persecuzioni violente e mortali a motivo del vangelo di Gesù.

Il mio augurio è che possiamo dire altrettanto per noi, personalmente e come comunità cristiana; che nella vita di ogni giorno, con le sue gioie e tristezze, non viviamo come “quelli che non hanno speranza” (1Ts 4,13), ma che “manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza” (Eb 10,23). Questo perché anche in questi giorni di sofferenza e di fatica, gli auguri che ci scambieremo di una “buona Pasqua” non siano giustificati dalla consuetudine né risuonino come uno slogan vuoto, ma esprimano la salda speranza, che si alimenta alla vittoria di Gesù sulla morte, sul male e alla promessa del Padre di Gesù di “quei cieli nuovi e terra nuova, in cui abita la giustizia” (cfr 2Pt 3,13), tanto attesi da tutti.

Il fare riferimento ad essa, anche nella semplice forma di un augurio, esprima il nostro intendimento di abitare questo tempo “saldi” in quella speranza che ci consente di collaborare al compimento della promessa di Dio, alla vittoria di Gesù Cristo sul male che umilia l’esistenza degli uomini.

*Vescovo di Senigallia

 

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