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“Sanità pubblica, se ci sei batti un colpo!”

“Sanità pubblica, se ci sei batti un colpo!”

L’Associazione Novum: “Esclusa dal servizio di Continuità assistenziale, paziente Covid si rivolge ad una ong privata e…guarisce”

SENIGALLIA – Laura B. è una ragazza di 46 anni. Il fisico è minuto, i lineamenti del volto sono delicati e si accompagnano ad un sorriso franco e cordiale. Anche lei come tanti è stata travolta dal ciclone Covid e noi di Novum abbiamo deciso di raccontare la sua storia che, purtroppo, è emblematica dello stato di degrado della assistenza sanitaria nel nostro territorio. Iniziamo l’intervista davanti ad una tazza di caffè offerta da Caterina, comune amica e padrona di casa che si è fatta parte attiva nell’organizzare l’incontro.

Laura ed il suo compagno si sono infettati agli inizi di febbraio facendo visita al “suocero” che al momento del contatto non presentava ancora i sintomi della malattia. Ammalatosi successivamente e risultato positivo al tampone, ha avvisato tutti coloro che erano entrati in contatto con lui. Il compagno di Laura si ammala subito con febbre alta, mal di testa e tampone positivo. Successivamente verrà ricoverato in ospedale con un focolaio di polmonite e curato in maniera invidiabile. Ma questa è un’altra storia e, soprattutto, un’altra regione.

Laura, lì per lì, accusa una sintomatologia vaga con astenia, lieve mal di gola, qualche linea di febbre e tampone negativo. Nel giro di qualche giorno (siamo arrivati alla metà di febbraio) tutto sembra essere passato, ma il 18 insorge una sintomatologia importante con febbre elevata, intensa cefalea e recidiva del mal di gola. Laura contatta il suo medico di famiglia che le prescrive il tampone e, nel frattempo, la mitica tachipirina con annessa la ancor più mitica vigile attesa.

I test diagnostici (rapido e molecolare) eseguiti in data 19 e 20 febbraio risultano positivi, la sintomatologia non si modifica ed il 22 compiono una lieve difficoltà a respirare associata a tosse e riduzione della saturazione arteriosa di ossigeno. Il medico di famiglia decide di aggiungere alla terapia in atto un preparato steroideo (cortisone) per la durata di 5 giorni. Il 28 febbraio (passati i 5 giorni) la tosse diventa sempre più insopportabile, si accompagna a intenso bruciore retrosternale e ad una sensazione di peso sul torace che rende la respirazione ancora più faticosa. A questo punto Laura, che vive da sola, chiede al suo medico l’intervento dell’USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) che però le viene negato adducendo come giustificazione il fatto che la saturazione di ossigeno non è sufficientemente bassa e che, a causa del sovraccarico di chiamate,  detto servizio non sarebbe stato comunque in grado di soddisfare tutte le richieste.

A questo punto (siamo al 2 di marzo) – come viene sottolineato dall’Associazione Novum -, Laura si rivolge alle amiche e, tramite Caterina, contatta un medico di Ippocrate.org il quale immediatamente le modifica la terapia aumentando la dose di cortisone ed introducendo l’antibiotico (azitromicina). Nel giro di 2 giorni la sintomatologia migliora bruscamente (permane solo una modesta tosse), tanto che quando il 6 di marzo l’USCA finalmente si fa viva non può che costatare una condizione di convalescenza e la negatività del tampone. Osservo Laura mentre racconta le sue disavventure; il suo eloquio è pacato, non c’è in lei ombra di risentimento o rancore nei confronti di un servizio pubblico che l’ha abbandonata in un momento oggettivamente critico.

L’intervista è terminata. Salutandoci, ironizziamo sul vaccino: «Dai Laura – dico io- almeno adesso non ti dovrai vaccinare». Lei sorride, ma nei suoi occhi si può scorgere un velo di malinconia; la malinconia di chi nella società del distanziamento sociale, fatta di individui forzatamente atomizzati ha scoperto di essere ancora più sola e ha dovuto arrangiarsi.

Una cosa è certa: se quella che abbiamo appena descritto fosse sussidiarietà, sarebbe senza dubbio la sua espressione più ignobile.

 

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