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Anche a Ostra le mense per i poveri si chiamavano “cucine economiche”

Anche a Ostra le mense per i poveri si chiamavano “cucine economiche”

di GIANCARLO BARCHIESI

OSTRA – Venivano denominate “cucine economiche”, una sorta di mense per i poveri, ed erano discretamente numerose e sparse nei paesi e città di tutt’Italia.

A Ostra le volle l’allora Arciprete di Santa Croce Don Luigi Benni che le istituì tra il 1892 e il 1896, per essere gestite in seguito, prima dalla Congregazione di Carità, poi in epoca Fascista dagli Istituti Autonomi di Beneficenza, infine riattivate dopo il secondo conflitto bellico dal Comune, il 1 febbraio 1945.

La “cucina economica” di Ostra dispensava quotidianamente ben 500 pasti. Inizialmente fu ubicata, vicino al nosocomio, usufruendo della stessa cucina, per poi passare nel 1900/01 nei locali dell’ex convento dei frati conventuali: un grande salone disadorno, una stanza per la direzione, un’altra più spaziosa per la cucina e un ampio refettorio con banchi e tavoli su cui venivano posati i piatti con un cucchiaio di stagno.  Gli assistiti sedevano ai tavoli, dopo aver ritirato, da uno sportello passavivande, la loro razione servita dai cucinieri con grembiuli e voluminosi berretti bianchi.

Il menu era quanto mai di più semplice, serviva a riempire efficacemente lo stomaco: ciotole di minestrone e grossi quadrangoli di polenta tagliati tutti uguali mediante il tradizionale procedimento, ancora in auge fino a non molti decenni fa nelle nostre campagne: si calava un filo ben teso sul pastone fumante, appena depositato sul tagliere.

Per ottenere quella “grazia di Dio” i richiedenti si presentavano con regolamentari “marche”, contrassegni del valore di qualche centesimo. Era questa la somma che i benefattori versavano alla direzione delle “cucine economiche” per ogni marca che poi distribuivano ai loro beneficati i quali, se non intendevano godere del tutto gratuitamente della mensa, versavano due spicci che erano in corrispettivo, a prezzo di costo, di quanto mangiavano.

Sebbene il comitato, per evitare abusi, preferisse che il cibo venisse consumato sul posto, qualora risultassero documentate speciali condizioni di famiglia, erano ammessi prelievi anche in favore di persone rimaste a casa.

Significativo era il caso di qualche miserabile che rimasto senza lavoro e con a carico numerosa prole, com’era consuetudine per quei tempi, si presentasse ogni giorno d’inverno, con una grande secchia e un largo paniere nel quale veniva riposta la polenta, complemento della minestra prelevata.

Non erano rari i tentativi di ingenua frode: spesso si verificavano scambi di cappelli e tabarri al fine di sorprendere la buona fede dei distributori per ottenere doppia razione, magari da rivendere per acquistare un bicchier di vino in una delle tante osterie che avrebbe più degnamente completato il pasto.

Venuto a conoscenza del fatto, i responsabili cercavano di lasciar correre “perché se in mezzo a tanti postulanti se ne trova uno che ha veramente fame, è meglio ignorare il fatto, per amore di quello realmente bisognoso”.

I membri del Comitato erano in genere benestanti, pie donne che ricorrevano ad una generosa carità per ascendere più rapidamente le vie del cielo; si trattava per lo più di vecchi negozianti, ex dirigenti amministrativi, ufficiali in pensione, gente insomma che per tutta la vita aveva lavorato sodo e a lungo per assicurarsi un certo agio negli ultimi anni della loro esistenza. Si trattava dunque di una beneficenza un po’ paternalistica, non certo di una maggiore giustizia sociale, ma perlomeno serviva a dare da mangiare a tanta povera gente. (Ho ora capito che parli in generale dell’Italia)

Con il Fascismo, anche questa iniziativa venne “istituzionalizzata”. La rivalutazione della lira fu pagata a caro prezzo dalle classi subalterne a vantaggio della finanza internazionale con il rialzo monetario che determinò una compressione dei salari e la distribuzione del pane e della minestra divenne per molti una necessità.

Le “cucine economiche” dalla fine degli anni cinquanta del Novecento non esistono più a Ostra, ma hanno funzionato per tanti anni, anche se in epoche storiche e politiche diverse, rispecchiando una realtà di miseria e indigenza, di situazioni di estremo disagio, affrontate tuttavia dagli uomini e donne del passato con dignità e serenità.

 

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