CORINALDOEVENTIL’INTERVENTO

“La memoria della nostra civiltà rurale ci serve per sopravvivere, per restare umani”

“La memoria della nostra civiltà rurale ci serve per sopravvivere, per restare umani”

di MASSIMO BELLUCCI

CORINALDO – A Corinaldo e in altri luoghi delle Marche nei giorni dell’Epifania i cantori armati di organetto in giro per il paese bussano nelle case per augurare buon anno nuovo.

Negli stessi giorni in cui qualcuno ha bussato alla porta di un appartamento di Ancona.

Nei paesi arrivavano i “pasquellanti”, il padrone di casa apre, una cantata in rima, “… Semo venuti pe’ l’allegria…” cantano, poi un bicchiere di vino possibilmente accompagnato da un po’ di ciambellone e via da un altro vicino.

Nell’appartamento di Ancona bussano ripetutamente, ma non sono i pasquellanti. E non apre nessuno.

E’ facile vedere, anche in una rievocazione, quanta ricchezza ci siamo persi, voltando le spalle a quella cultura che ci sembrava povera (sicuramente in un certo senso lo era). Grazie anche alle lotte molti aspetti di arretratezza materiale sono stati superati.

Ad Ancona cominciano a preoccuparsi per la mancata risposta, arrivano i vigili del fuoco, sfondano la porta.

Il punto non è che siano cambiati gli stili di vita, ma che abbiamo perso la memoria di un passato rurale storicamente recente, che giudichiamo con un pregiudizio di superiorità.

Ad Ancona, dopo aver sfondato la porta, trovano il cadavere di un uomo di circa 70 anni.

Ci siamo persi, tra l’altro, un senso di appartenenza che era tipico dei paesi rurali, dove ci si aiutava tra vicini al tempo delle grandi faccende estive. Dove tra vicini ci si riuniva per i balli sotto carnevale. Non era una bella vita: povertà materiale, poche possibilità di studiare o di curarsi. Ma c’era un legame sociale.

Ad una prima analisi del cadavere si evidenzia che è morto nel 2018. Da allora nessuno – parenti, amici o condomini – lo ha cercato?

Ma oggi quel legame sociale dove è andato a finire? Indifferenza, presunzione di autosufficienza, insicurezza strisciante, ma anche una generalizzata tendenza a trasformare tutto in merce, per cui anche le persone sono in concorrenza perenne: per un posto di lavoro, per un parcheggio, per una maggiore visibilità sui social. Così ci si dimentica chi siamo.

E siamo sempre più deboli nonostante i tablet, gli smartphone e le connessioni internet ultra veloci: guardare le storie su Instagram e non accorgersi del vicino di casa che muore da solo.

La memoria della nostra civiltà rurale non ci serve per simpatiche iniziative natalizie, ci serve per sopravvivere. Per restare umani.

 

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